Alcuni dei nuovi materiali che stanno diventando più comuni nel campo industriale provengono dalle profondità dello spazio e solo in questi anni sono stati realizzati artificialmente nei nostri laboratori per poi passare alla produzione di massa.
I fullereni rappresentano un valido esempio perché sono scoperti per la prima volta nello spazio profondo nella nebulosa TC1.
Cos’è il fullerene
Il fullerene è un diverso stato di aggregazione delle molecole di carbonio, presente pure sulla Terra, come diamante e grafite, la sua forma molecolare ricorda le cupole geodetiche: da qui deriva il suo nome, associato a quello dell’architetto padre del design delle cupole geodetiche Richard Buckminster Fuller.
L’atomo di carbonio è un esagono che qui si dispone in un poliedro semi regolare o icosaedro troncato, che va poi a costituire nanotubi che ne esaltano le caratteristiche di superconduttività.
Tutta la ricerca sui fullereni si è concentrata proprio su questo importante aspetto legato alla superconduttività a temperatura ambiente, impiego che rivoluzionerebbe il mondo del trasporto dell’energia elettrica, oggi penalizzato da perdite fino al 70% dell’energia immessa in rete dovute dai conduttori a base rame che si manifesta sotto forma di calore che viene disperso.
>Altre potenziali applicazioni riguardano l’additivazione degli olii lubrificanti con fullerene, al fine di migliorarne le caratteristiche di dispersione termica e resistenza meccanica, in specie in tutte quelle applicazioni speciali dove adesso si utilizza grafite o litio in addizione.
Come molti altri materiali innovativi anche il fullerene non trova applicazioni “pure”. Vale a dire che a oggi non è immaginabile poterlo impiegare da solo ma deve sempre essere associato ad altri elementi, per lo più in proporzioni estremamente ridotte, al di sotto del 10% in peso, cosicché se ne possa giustificare anche l’uso pur essendo un materiale ad altissimo costo di produzione.
Purtroppo mentre per altri materiali come la perowskite la ricerca ha portato in tempi relativamente brevi alla possibilità di industrializzare i processi produttivi, rendendo accessibile alle aziende interessate l’approvvigionamento, per i fullereni la possibilità di giungere ad una scalabilità industriale dei processi di produzione sembra ancora lontana.
Viste le potenziali applicazioni anche in campo medico per lo sviluppo di terapie di cura per malattie quali l’HIV, la possibilità di agire come emoassorbente o antivirale, specie in questi tempi di pandemia, la ricerca è fortemente stimolata e l’arrivo di capitali freschi dai piani di resilienza attivati dai diversi governi del mondo daranno di sicuro nuovo impulso a quanti si stanno dedicando alla soluzione di problemi di produzione.